Storia del Kendo
"... scopo del Kendoka è di addestrare la propria 'anima' attraverso
la disciplina e le regole del combattimento, non di usare le regole del
combattimento e il mezzo della spada come strumento che sopprime
l'avversario..."
Il kendo è la
leggendaria scherma tradizionale dei Samurai, letteralmente Via (“do”)
della spada(“Ken”). Arte marziale giapponese per eccellenza, si pratica
utilizzando lo shinai, un bastone formato da quattro canne di bambù, in
sostituzione della vera e propria spada, la katana. Durante
l’allenamento il corpo viene protetto da una armatura, bogu, formata da
maschera, corpetto, guanti e un paraventre. Lo shinai viene usato con
entrambe le mani e il colpo deve essere inferto come si farebbe con una
vera spada: non si deve quindi “battere” come con un normale bastone, ma
“tagliare” sui punti prestabiliti del corpo in modo da procurare una
ipotetica morte o messa fuori combattimento dell’avversario. Ma che cosa
è il kendo? È la più antica arte marziale e, con il Sumo, l’unica
autoctona del Giappone. Alcuni la fanno derivare dalla scherma cinese
unicamente perché scambiano le tecniche di costruzione delle spade usate
nel Katai con l’impiego dell’arma stessa; ma la Katana è
inconfondibilmente giapponese e l’impiego che ne fece la nobiltà
guerriera è magistralmente descritto in volumi celebrati. Poco
reclamizzata ai giorni nostri da film o personaggi spettacolari, la
scherma giapponese è stata meno divulgata del karate, ad esempio, il
quale è, si noti, poco praticato nella terra del Sol Levante. Il kendo
invece conta milioni di appassionati ed è inserita come materia nelle
scuole dell’obbligo fin dalle elementari. Il kendo è anche sport, ma non
solo. Come tutte le arti marziali, in special modo la spada che affonda
le sue radici in tempi antichissimi, conserva lo studio delle buone
maniere, della cortesia e della filosofia del combattimento,
l’accettazione serena di una vittoria o di una sconfitta. Un approccio
decisamente diverso dalle moderne attività sportive, votate all’agonismo
più estremo che troppo spesso dimenticano il ruolo dell’educazione e
della crescita dell’individuo. La storia del kendo fu tratteggiata in
epoche successive dallo Zen e dal Confucianesimo. Questi insegnamenti
aiutano la pratica da un punto di vista morale e filosofico. La fedeltà
alla parola data, il superamento della paura della morte, la
sopportazione del sacrificio sono tutti elementi comuni al Kendo. Se
consideriamo che questa era l’arte marziale della Nobiltà Guerriera
giapponese, appare chiaro come la formazione del praticante venisse
basata sia sullo studio della tecnica che della filosofia.
Le virtù fondamentali possono essere sintetizzate in:
- benevolenza
- giustizia
- etichetta
- correttezza
- saggezza
- sincerità
Il comportamento di un buon praticante
deve sempre tener conto di questi aspetti; non rispettarli o trascurarli
significa non praticare correttamente il Kendo e quindi col tempo
perdere il contatto con la vera disciplina.
Il kendo moderno è una forma di budo da dojo, cioè trova le condizioni ideali di esecuzione nella sala di pratica, o dojo.
La postura da assumere è estremamente
eretta e quindi naturale. Lo sforzo da compiere nell'allenamento diretto
tende allo sviluppo della maturità spirituale dell'individuo, la sua
"abilità interiore", uno stato che porta al pensiero riflessivo e
all'introspezione. La diffusione del kendo come sport si giustifica solo
nell'intenzione di fare diventare questa arte un veicolo di
trasmissione dello spirito del kendo in sintonia con la tradizione e nel
rispetto di essa.
Kendo e filosofia
Dalla fusione di tecnica e spirito si
può iniziare il cammino lungo la via della spada. Il kendo è sì una
scherma, ma soprattutto un’arte che si accompagna alla vita e le va
accanto procedendo e seguendo i moti dello spirito - Shin in giapponese,
parallelamente all’Estetica e alla bellezza delle linee eleganti.
Occorre coltivare un'essenza spirituale la cui profondità e complessità
risale all'arte classica della spada giapponese. La spada è una via per
disciplinare il carattere umano attraverso l'applicazione dei principi
del katana, un'arte che insegna la disciplina, e un'attività che
permette l'esercizio fisico. Il vero scopo del kendo è imparare a
risolvere i problemi della vita senza sguainare la spada. Non è il
perfezionamento di una tecnica fisica, ma lo sviluppo di una mente
fluida e sensibile, in grado di reagire a qualunque problema si pari di
fronte, istintivamente, senza timori né esitazioni, indipendentemente
dalla situazione. Tale linea di pensiero deriva da concezioni anteriori
all'era Tokugawa, come il principio Muteka tsu - vittoria senza l'uso
delle mani, di Tsukahara Bokuden (1490-1571) e la dottrina Muto -
assenza di spada di Yagyu Tajima no Kami (1527-1606). Altro importante
personaggio, Y Amaoka Tesshu (1837-1888), riteneva che chi porta una
spada deve adeguarsi allo spirito nel quale essa è stata forgiata. I
maestri forgiatori come i famosi Masamune lo facevano con lo spirito di
Nukazu Nisumu che significa dirimere le dispute "senza sguainare la
spada". Per applicare questo principio al kendo, paradossalmente,
occorre apprendere in che modo estrarre e utilizzare la spada. Ogni
volta che si termina una lezione di kendo ci si sente calmi e felici.
Allontanarsi dallo stress della vita quotidiana per concentrarsi
esclusivamente sul maneggio della spada aiuta a ritrovare il gusto per
quei piccoli e preziosi momenti che ci rendono felici. La parola “pace”,
in giapponese, si scrive con due ideogrammi che rappresentano
rispettivamente la tranquillità e l'armonia. Quando si raggiunge la
calma mentale e si armonizza con gli altri, la spada non è più mezzo per
uccidere ma tecnica per far vivere, per permettere a sé stessi ed agli
altri di continuare a vivere. Da strumento di guerra, il kendo viene
trasformato in strumento di pace. Benché le arti marziali giapponesi
tradizionali quali il kendo, lo iaido, il karate, il judo e l'aikido
siano sport da combattimento messi a punto per sconfiggere l'avversario,
la loro reale essenza consiste nel disciplinare la mente attraverso
l'allenamento tecnico.
La spada giapponese e lo iaido
Creare l'emozione attraverso la
resistenza all'emozione Lo iaido ed il kendo sono strettamente
collegati. Lo iaido consiste nell'allenamento base del maneggio della
spada, il kendo è l'applicazione pratica di questi movimenti. Perché lo
iaido, creato come tecnica per uccidere, sopravvive nella società
moderna? L'idea fondamentale dello iaido non è quella di attaccare per
primi un avversario; è stato piuttosto concepito quale tecnica di
auto-difesa. Salvo un paio di eccezioni, i kata (le forme) sono pensati
per rispondere agli attacchi portati da altri e quindi non si attacca
mai per primi. L'essenza dello iaido è nota come Saya no uchi,
letteralmente dentro il fodero, per vincere senza sfoderare. Una volta
che la spada è sguainata uno dei due combattenti cadrà sicuramente. Ma
se si riesce a raggiungere uno stato di armonia con l'altro è possibile
evitare un inutile conflitto e viene meno la necessità di estrarre la
spada. L'ideale è che il carattere dell’allievo venga forgiato
attraverso l'allenamento in modo che, l'avversario perda ogni sentimento
di antagonismo ed i due raggiungano l'armonia. Così come in tutte le
arti marziali, all'inizio l'allenamento dello iaido si concentra sulla
tecnica per poi passare gradualmente, mano a mano che l'abilità
migliora, alla vera disciplina. Un allievo con un allenamento spirituale
insufficiente, per quanto bravo tecnicamente, diventerà estremamente
nervoso nei momenti critici e verrà sconfitto. Molti tra coloro che
venivano considerati maestri dell'arte praticavano regolarmente la
meditazione Zen. Vi è un profondo legame tra il concetto buddista Zen di
vuoto e lo spirito delle arti marziali. Il vuoto implica il distacco da
tutte le cose mondane. Più si desidera vincere o si teme la morte meno
il proprio corpo obbedirà alla propria volontà. Se si riesce a
raggiungere uno stato di vuoto non ci sarà nulla da perdere e pertanto
sia il corpo sia la mente saranno liberi. Uno degli obiettivi della
pratica del kendo oggi potrebbe essere il raggiungimento di questa
libertà spirituale.